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Statements

To be a witness of our times means not only to leave a mark, memories and to bear witness, but first and foremost to allow thoughts and emotions in our own work, to boldly ask ourselves questions and to find enlightening answers through a free heart and independent thinking.

 

Bärbel Schmidtmann is a witness of our times. But not exclusively so.

Her artistic work goes beyond memories, beyond merely bearing witness: her works are also acts of resistance.

 

At first sight, the artist’s poetics appears without a doubt to be in line with the dimension of conceptual and social art, yet Bärbel Schmidtmann immediately disassociates herself from that formal approach. She has opted for the mode of a narrative and has chosen an autonomous style that is rooted deeply in her own personal experience, in particular in the experience of her femininity.

 

A lot has been written about the comparison of the realm of imagination and autobiography, almost as if contemporary art was obligated in some way to defend the importunate “I”, which has become the undisputed protagonist since the 19th century – as the sole consideration of the artistic and cultural scene.

But, as Rimbaud says: “I is another”.

Or, as Bärbel Schmidtmann asserts: We are also others.

The artist’s exceptional empathy lets the bodies of others become her own in order to adopt through her work the humanity, the tenderness, the fear, the scream, the horror of others and to give expression to them.

 

The artist Bärbel Schmidtmann goes all out, she does not shrink back but takes a stand. She opens her heart. Tells us about a body, her body, which changes, which loves, which has experienced suffering and joy. Which has triumphed.

She talks about bodies, about refugees who have drowned at sea, who had hoped for a better life and who had to suffer. And who were sadly defeated. A human loss the extent of which deeply affects the artist emotionally.

Bärbel Schmidtmann’s intention is never an outcry: every one of her works communicates a great love of life.

Every one of her works is a prayer, an act of faith and of hope, it is an anthem to life – every time.

 

Let us consider the media she uses in her work: recycling objects such as wood, paper, natural materials and precious fabrics. Let us bear in mind also the “transient” waiting queue tickets, the telegrams, and the metro tickets.

Individuals move through time, come into contact every day with objects and leave them behind. These objects are apparently mundane items such as the numbered ticket for the queue while you wait for your turn at the post office.

But we were those numbers, at that particular place.

 

We, born down by routine, by a society that would like to see us less and less as conscious individuals that perceive other individuals, but as alienated from ourselves, as benumbed creatures, as detached from all humaneness. Wrapped in our isolation, empty and bereft of all meaning. Blind. Incapable of seeing things the way they are, to recognise beauty. Because beauty certainly still exists, it’s still there for us to see. It’s up to us to discover it. And to love it.

 

The artist sews it together, she assembles it, she tells us about the beauty that she so loves.

 

Her work is an act of resistance. Her work is an anthem to life. Her work is a prayer, an act of love of art, of people and of nature. Her work is her life.

BARBARA CODOGNO

Journalist, writer, curator and art critic

Essere testimoni del nostro tempo non significa soltanto lasciarne traccia, memoria, testimonianza ma soprattutto, grazie al proprio operato, attrarre riflessioni ed emozioni, porsi con coraggio degli interrogativi, dando risposte illuminanti dettate dalla libertà del cuore e del pensiero.

Bärbel Schmidtmann, testimone del nostro tempo, ma non fa solo questo.

La sua produzione artistica va oltre la memoria, oltre la testimonianza: le sue opere sono sempre un atto di resistenza.

 

La poetica dell'artista a prima vista si inserisce senz'altro nella dimensione concettuale e in quella della social art; eppure l'artista si sgancia subito da questo approccio formale. Bärbel Schmidtmann sceglie il percorso narrativo, approdando a un'autonomia stilistica che ha radici profonde nel suo vissuto personale, e anche nel femminile.

 

Molto si è scritto opponendo l'immaginario all'autobiografico, come se il contemporaneo dovesse giustificare in qualche modo l'ingombrante presenza di un “io” che a partire dal '900 si è fatto protagonista indiscusso – unico punto di vista - della scena artistica e culturale.

Ma, citando Rimbaud, l'io è un altro.

O, come ci racconta Bärbel Schmidtmann, noi siamo anche gli altri.

La generosità cristallina dell'autrice la porta a farsi corpo di corpi, ad accogliere e manifestare attraverso la propria opera, la carne, l'umanità, la tenerezza, la paura, l'urlo, l'orrore degli altri.

Si mette in gioco Bärbel Schmidtmann, non si tira indietro, anzi, prende posizione. Apre il cuore. Racconta di un corpo, il suo, che cambia, che ama, che ha sofferto e gioito. Che ha vinto.

Racconta di corpi, quelle dei migranti morti in mare, che hanno sperato, che hanno sofferto. E che purtroppo hanno perso. Una sconfitta umana di cui l'artista sente forte il peso.

Il messaggio che ci arriva dall'autrice non è mai gridato: ogni sua opera trasmette sempre un grandissimo amore per la vita. Ogni sua opera è una preghiera, un atto di fede e di speranza, un inno alla vita, sempre.

Basti pensare ai materiali con cui crea, sono oggetti di recupero, legno, carta, elementi naturali, tessuti di antica fattura. Ma anche gli struggenti bigliettini delle liste d'attesa, i telegrammi, gli scontrini, i biglietti della metropolitana.

L'uomo passa attraverso il tempo, toccando e lasciando dietro di sé oggetti quotidiani. Sono cose apparentemente banali, come può esserlo un numero preso in coda mentre si aspetta il proprio turno alla posta. Eppure, quel numero siamo stati noi, in quel posto.

Noi, schiacciati dalla routine, da una società che ci vuole sempre meno consapevoli di noi e degli altri, lontani da noi stessi, anestetizzati, sganciati dall'umanità. Avvolti dalla solitudine, svuotati di senso. Ciechi. Incapaci di guardare le cose, di guardare la bellezza. Perché la bellezza c'è ancora. Ma tocca a noi scovarla. Per amarla.

Allora Bärbel Schmidtmann ricuce, ricompone, ce la racconta lei, l'amata bellezza.

Il suo lavoro è un atto di resistenza. Il suo lavoro è un inno alla vita. La sua opera è una preghiera, un atto d'amore verso l'arte, l'uomo, la natura. Il suo lavoro è la sua vita.

BARBARA CODOGNO

Giornalista, scrittrice, curatrice e critica d'arte

La ricerca pittorica di Bärbel Schmidtmann  si indirizza inizialmente  nel campo dell’illustrazione per l’infanzia dove emerge una spiccata creatività, accompagnata da un desiderio di comunicazione attraverso immagini e soggetti irreali. Approfondisce con la sperimentazione le tecniche miste e gli effetti materici che apportano alle sue opere giochi tridimensionali.

Nei ultimi anni continua con determinazione la sua ricerca dedicata alla rappresentazione di  illustrazioni e costruzioni scultoree.

Nella sua creatività e duttilità pittorica inventa personaggi fantastici che suggeriscono azioni e si sostituiscono al mondo reale. Sempre proiettata per una visione fantastica e  un'abilità costruttiva  riesce a trasformare le figure e le forme in immagini che ricordano essere umani.

L'artista,  ricerca i materiali  di recupero che provengono dalla natura legni, vecchi tessuti, chiodi, ferri per  reinventare e rinominarli  in un nuovo ruolo artistico.

Il lavoro di Bärbel Schmidtmann è soprattutto introspettivo affronta tematiche rivolte al giudizio, alla coscienza, al rapporto genitori-figlia che vengono rielaborati in chiave ironica ma toccante.

Nell'ultimo periodo artistico, emerge un'evoluzione: la trasformazione e l'urgenza di modificare i contenuti della propria ricerca artistica.

Riaffiorano i ricordi che vengono rappresentati in  racconti poetici tradotti in strutture pittoriche.

Il riconoscimento dello stile dell'artista è la grande capacità di inventare  composizioni che esprimono una sintesi essenziale della forma.

L'ironia e  le metafore, unite al pensiero e alla ricchezza interiore di Bärbel, sono così determinanti che guidano l'artista alla necessità di concretizzare l'opera.

L'artista,  guarda, ascolta e parla intimamente al suo animo, nascono opere come: ”Pescare nel nulla”, “Realtà invisibile”, “Oma Paula” e vengono rappresentate attraverso forme di natura  simbolica. Sono strutture, sagome curate, cullate, amate dai materiali che vengono rinominati dalla delicatezza e sensibilità di Bärbel come: la canna da pesca, l'amo, la sofficità del bianco, personaggi degli anni sessanta, bottoni e fibbie.

 Il desiderio continuo di scoprire e materializzare i sentimenti i  concetti nascono dal sé dell'artista.

CRISTINA BOARETTO

Docente di Pittura, Istituto d'Arte Pietro Selvatico

Bärbel Schmidtmann  "attraversa" il tempo fermandolo con il suo sguardo interpretativo. Il tempo diviene, il suo tempo-emozione. Nelle sue opere determina ogni attimo trascorso, quasi a fondersi in una sua eternalità di tempo vissuto e sentito. Quindi arte come testimonianza di essere.

VIRGINIA MILICI

Curatrice

Zeuge unserer Zeit zu sein bedeutet nicht nur Spuren, Erinnerungen und Zeugnis zu hinterlassen, sondern vor allem im eigenen Schaffen Gedanken und Gefühle zuzulassen, sich mutig Fragen zu stellen und durch ein freies Herz und unabhängiges Denken erleuchtende Antworten zu geben.

 

Bärbel Schmidtmann, eine Zeugin unserer Zeit. Jedoch nicht ausschließlich.

Ihre künstlerische Arbeit geht über Erinnerungen, über das reine Bezeugen hinaus: Ihre Werke sind immer auch ein Akt des Widerstandes.

 

Auf den ersten Blick reiht sich die Poetik der Künstlerin ohne Zweifel in die Dimension der Konzeptionellen und Sozialen Kunst ein und dennoch distanziert sich Bärbel Schmidtmann sogleich von diesem formalen Ansatz. Sie wählt den Modus des Erzählens und hat sich für einen autonomen Stil entschieden, welcher tief im eigenen persönlichen Erleben verwurzelt ist, insbesondere in dem ihrer Weiblichkeit.

 

Es wurde schon viel über die Gegenüberstellung von Vorstellungswelt und Autobiographie geschrieben, als ob die zeitgenössische Kunst das aufdringliche „Ich“, welches seit dem 19. Jahrhundert zum unumstrittenen Protagonisten vorgerückt ist, in irgendeiner Form verteidigen müsse – alleiniger Gesichtspunkt der künstlerischen und kulturellen Szene.

 

Jedoch Rimbaud zitierend, heißt es „Ich ist ein anderer“.

Oder, wie uns Bärbel Schmidtmann  erklärt: Wir sind auch die anderen.

 

Die außerordentliche Empathie der Künstlerin lässt die Körper der anderen zu ihrem eigenen werden, um über ihre Arbeiten die Menschlichkeit, die Zärtlichkeit, die Angst, den Schrei, das Entsetzen der anderen anzunehmen und ihm Ausdruck zu verleihen.

 

Die Künstlerin Bärbel Schmidtmann geht aufs Ganze, sie schreckt nicht zurück, sondern bezieht Stellung. Sie öffnet ihr Herz. Erzählt uns von einem Körper, ihrem Körper, der sich ändert, der liebt, der Leid und Freude erfahren hat. Der gesiegt hat.

Sie erzählt von Körpern, von den im Meer ertrunkenen Migranten, die auf ein besseres Leben hofften und leiden mussten. Und die leider verloren haben. Eine menschliche Niederlage, von deren Ausmaß die Künstlerin sich emotional tief betroffen fühlt.

Bärbel Schmidtmanns Aussage ist nie ein Aufschrei: Jedes ihrer Werke vermittelt stets eine große Liebe zum Leben.

Jedes ihrer Werke ist ein Gebet, ein Akt des Glaubens und der Hoffnung, es ist eine Hymne auf das Leben – und zwar immer.

 

Denken wir nur einmal an die Elemente, die ihre Arbeit ausmachen, es sind Recyclingobjekte wie Holz, Papier, Naturmaterialien und kostbare alte Stoffe.

 

Und denken wir auch an die „vergänglichen“ Warteschlangentickets, die Telegramme, die Quittungen und die Metrofahrkarten.

Der Mensch bewegt sich durch die Zeit, kommt täglich mit Gegenständen in Berührung und lässt sie zurück. Hierbei handelt es sich um scheinbar banale Gegenstände wie ein nummeriertes Ticket einer Warteschlange, während man z.B. im Postamt darauf wartet, an die Reihe zu kommen.

Doch diese Nummern waren wir, an jenem Ort.

 

Wir, niedergedrückt von der Routine, von einer Gesellschaft, die uns immer weniger als bewusste und andere Menschen wahrnehmende Individuen sehen möchte, entfremdet von uns selbst, betäubte, gefühllose Individuen, losgelöst von jeglicher Menschlichkeit. Eingehüllt in ihre Einsamkeit, leer und ihres Sinnes beraubt. Blind. Unfähig die Dinge zu sehen, wie sie sind, Schönheit zu erkennen. Denn die Schönheit ist durchaus noch vorhanden, sie gibt sie noch. Es ist an uns sie zu entdecken. Und sie zu lieben.

 

Die Künstlerin näht sie zusammen, sie setzt sie zusammen, erzählt uns von der so geliebten Schönheit.

 

Ihre Arbeit ist ein Akt des Widerstandes. Ihre Arbeit ist eine Hymne auf das Leben. Ihre Arbeit ist ein Gebet, ein Akt der Liebe zur Kunst, zu den Menschen und zur Natur.

Ihre Arbeit ist ihr Leben.

BARBARA CODOGNO

Journalistin, Schriftstellerin, Kuratorin und Kunstkritikerin

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